L’agghiacciante spaccato sociale della Settimana Enigmistica

Poche cose sono una certezza nella nostra vita, e la Settimana Enigmistica è una di quelle. A cadenza settimanale, con i suoi cruciverba e le sue barzellette stantie, solo Topolino può dire di essersi creato una base d’utenza più affezionata in edicola, e di avere avuto una funzione pedagogica più importante. Però c’è una differenza sostanziale tra Topolino e la Settimana, ed è il fatto che il primo ci consegna solo apparentemente un prodotto sempre diverso ma uguale a sé stesso: Topolino mantiene una formula di base che si rinnova di continuo. Anche a me dieci anni fa faceva orrore leggere una storia dove i nipoti di Paperino si aprivano un blog e skypavano con Sasuke l’amico del Giappone, ma la verità è che potevo anche andarmene a fare in culo: Topolino riesce a sopravvivere di decennio in decennio rinnovandosi di continuo, ma riuscendo a non alienarsi.
Ma non siamo qui per parlare di Topolino, non oggi. Oggi siamo qui per parlare di Settimana Enigmistica. Non voglio parlare dei rompicapi contenuti, o del formato di 46 pagine, o dei Quesiti della Susi, no. Quelle sono certezze che se venissero a mancare mi scuoterebbero nelle fondamenta. Voglio parlare delle barzellette stantie.
Le barzellette della Settimana sono una fotografia. Ritraggono personaggi qualunque che si assomigliano tra di loro, di pubblicazione in pubblicazione. Sono pensati per essere il più generici possibili proprio per far sì che i lettori vi si ritrovino in minima parte, ridano di loro riallacciando i contenuti delle vignette a quanto capita nella loro vita. I temi trattati – vita coniugale, lavoro, le assurdità della vita quotidiana – sono qualcosa cui tutti possiamo rapportarci. Quale che sia l’intento con cui sono disegnati, ciò non li rende meno agghiaccianti. Vi chiedo di essere così gentili da seguirmi, mentre vi faccio strada nell’esplorazione di questo mondo straordinario, dove le passioni e gli ideali si prendono per mano e muoiono smembrate tra gli ingranaggi della vita quotidiana.

 

1.La società enigmistica.

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Tutti i personaggi delle vignette compongono le schiere degli impiegati di maxiditte fittizie. Di loro sappiamo che lavorano come bestie senza avere alcuna soddisfazione in cambio, e sono tiranneggiati da capireparto e presidenti disumani, la cui vita qualche gradino più in alto è più opulenta, ma non per questo meno misera. Ai piani più bassi si passa il tempo alternando un lavoro nevrastenico a tentativi di ozio sfacciati. Ai piani più alti si tenta di far soldi con piani di lavoro feudali e rigorosamente privi di successo. Le aziende sono sempre sull’orlo del fallimento; gli impiegati vengono licenziati e assunti a spron battuto, senza batter ciglio. In questo mondo nessuno guadagna, nessuno è felice. Chi ozia lo fa per qualche istante, ma sarà scoperto e licenziato; chi guadagna avrà sempre una moglie (o un’amante), un fallimento dietro l’angolo pronto a privarlo di ogni soddisfazione. Ma che lavoro si fa in questi uffici, che ditte sono, cosa producono oltre a grafici seghettati appesi in sale dove si tengono riunioni inutili? Non lo sa nessuno. Come risponderebbe Vincent Adultman in Bojack Horseman sono business factory, e tanto ci deve bastare.lavorodef1

 

2.La vita coniugale.

coniugiDEF1.jpgIl palcoscenico della Settimana Enigmistica però ha una star differente dal mondo del lavoro, ed è la vita coniugale. Le vignette che riguardano i rapporti di coppia costituiscono una maggioranza schiacciante, ma sono rapporti di coppia rigorosamente coniugali.
Cosa esiste prima del matrimonio, nella società enigmistica?

L’infanzia è spesso tratteggiata con toni nostalgici e spensierati, ma è un pretesto per parlare dei genitori, non certo dell’essere bambini. L’adolescenza è quasi del tutto assente, se non come prolungamento dell’infanzia nel causare grattacapi ai genitori e privarli di altro sostentamento economico.
La maturità prima del matrimonio è però avvolta in scenari da tempo mitico, da cosmogonia aborigena. Rappresenta il tempo in cui si era liberi, privi del vincolo dei genitori e di un coniuge, ma per qualche oscuro motivo è poco rappresentata, e non può durare. Le fasi del corteggiamento trovano parte in qualche vignetta, e sono sempre rappresentate in negativo: un ragazzo che sposiDEF.jpgcorteggia una ragazza che sembra tutto fuorché convinta della bontà delle sue intenzioni, o a cui non piace. Non importa, potrà scaricarlo (è sempre lei che scarica lui) ma si sposerà comunque a breve, con un altro partner insoddisfacente. L’importante è che abbia un lavoro, e un lavoro ce l’hanno tutti. Gli adulti hanno infatti molta fretta: la realizzazione in questa società passa ottenendo un partner riproduttivo desiderabile, da sposarsi con rito cattolico.

I maschi punteranno rigorosamente donne attraenti, le femmine uomini facoltosi (ma in alternativa basta che abbiano un lavoro). È una partita che, come si capirà, nessuno può vincere: la bellezza è destinata  a sfiorire col tempo; il denaro, vivendo nella società tratteggiata nel paragrafo precedente, a volatilizzarsi nella stessa inevitabile (e inspiegabile) maniera. Succede, si passerà il resto della vita a lamentarsi della cosa, ma la si accetterà con inevitabile fatalismo. In capo a pochi anni le coppie sono già infelici. Ogni sentimento è svanito, e uomini e donne diventano caricature di quello che erano, relegati al divano e alla cucina. Gli uomini, almeno, possono andare a lavorare, finché non divengono troppo vecchi e sono costretti ad andare in penpensione1sione. La vita di un lavoratore si alterna tra l’ufficio e il bar, e resta poco tempo da dedicare alla propria signora, che lo aspetterà a casa. I coniugi passeranno il tempo a lamentarsi l’uno dell’altro, e a chiedersi (talvolta direttamente) cosa li abbia spinti a sposarsi, tanto (o poco) tempo prima. Il ripensamento avviene nell’istante in cui il prete unisce i due in matrimonio, e non di rado le vignette tratteggiano coppie che, con ancora l’abito di nozze addosso, sono già precipitate in questa spirale nichilista.

Ma allora basta non sposarsi, si dirà. A cosa serve contrarre matrimonio, se le premesse sono queste? Il fatto è che l’alternativa disponibile è ben più misera, e vi ricade sopra uno stigma sociale ancor meno desiderabile.
I maschi che non si sposano sono eterni scapoloni, che passano la vita tra una festa e l’altra, alla ricerca di donne che possano desiderarli. Loro, però, non sono desiderabili. Compariranno il più delle volte come figure sullo sfondo, di cui qualche altro personaggio sta parlando. Sono uomini rigorosamente ubriachi, macchiette anche all’interno delle vignette della Settimana. I personaggi di cui ridiamo di solito ridono di loro, che non hanno combinato nulla nella vita. Hanno un lavoro? Non ci è dato saperlo, ma il loro denaro lo spendono in vino o altri beni effimeri, senza aver costruito nulla.donnaccedef.jpg
Alle donne non va meglio. Una donna non sposata sarà spesso molto attraente, e avrà stuoli di corteggiatori ai suoi piedi. Ma in questo caso, perchè non si è ancora sposata, dato che per la legge dei grandi numeri un corteggiatore decente lo avrà dovuto avere? Perché vuole un uomo quanto più desiderabile, il che come già accennato equivale ad un uomo facoltoso. Le donne prive di un partner sono spesso viste come donnacce dalle mogli, categoria che si pone ai loro antipodi. Sono le uniche donne che lavorano, visto che non hanno ancora nessuno che le mantenga e offra loro la possibilità di fare la casalinga per il resto dei loro giorni. Spesso il loro lavoro è d’ufficio, nelle stesse  megaditte degli uomini, e in quel caso fanno le segretarie. Fare la segretaria, nella società enigmistica, equivale spesso ad essere l’amante di un grande dirigente d’azienda, ma anche in quel caso la posizione è infelice. Una moglie, agli occhi della società enigmistica, varrà sempre di più di una segretaria, anche se la seconda sarà ricoperta di un numero di attenzioni maggiore. L’unico spiraglio in questo limbo tutto femminile è che l’uomo lasci la moglie e sposi l’amante, ma in questo caso il matrimonio masticherà la donna avvenente ed espellerà una moglie. Il ciclo sarà costretto a perpetuarsi in eterno, o meglio: finché il dirigente avrà del denaro da parte. Se il fallimento della sua ditta, la prima moglie, la seconda moglie, l’amante lo lasceranno – come presumibile – stremato e privo di liquidi, si ritroverà da solo.
La commiserazione totale, in questa società, è poi rivolta a due categorie ben precisi: gli uomini poveri e le donne brutte. Entrambe non possiedono i mezzi per convincere il sesso opposto a contrarre un vincolo matrimoniale. Dal nostro punto di vista sono liberi, ma nella società enigmistica sono condannati allo stigma.

 

3.Fuggire dalla società enigmistica.

L’esigenza di abbandonare questo stile di vita è avvertita anche da chi fa parte della società enigmistica. I pestereotipi 1 001.jpgrsonaggi delle vignette soffrono lamentandosi continuamente della propria condizione, e spesso l’insofferenza è tale che vorrebbero mollare ogni cosa, e rifarsi una vita da qualche altra parte. Nessuno glielo impedisce, ma non significa che lo faranno, o cstereotipi2 001.jpghe pensino sul serio quello che dicono. Il mondo al di fuori della società enigmistica è diverso, per molti versi pittoresco, ma non è compatibile con l’infinita schiera di ragionieri e casalinghe che popolano le vignette finora descritte. Al di fuori delle città ci sono giungle popolate da cannibali, e un far west ancora da colonizzare dove gli indiani comunicano con segnali di fumo. Tutto questo è molto bello, ma non desiderabile. L’uomo enigmistico percepisce questa società come primitiva e non la capisce, e allo stesso modo la sua vita non è compresa dal nativo con cui interagirà.

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Nessuno vuole davvero andarsene

Lasciare il proprio lavoro, la propria moglie ed essere felici senza abbandonare la società enigmistica sembra essere impossibile, eppure accade. Questi scenari inusuali vengono ripresi in diverse vignette, ma ci comunicano una realtà ancor più tremenda: ormai si è talmente tanto condipension2.jpgzionati dalle logiche lavorative e sociali di partenza che lasciarle è complesso. Che si tratti di una pausa temporanea come quella di una vacanza estiva, o più definitiva come quella data dal raggiungimento dell’età pensionabile, nessuno riuscirà a godersela. Il lavoratore è talmente ebbro della routine in cui ha vissuto fino a quel momento che non riesce a staccarsene.

Per quanto riguarda la vita coniugale, chi la abbandona è costretto a un’esistenza misera quanto quella di partenza. Gli uomini che divorziano si fanno solitamente portar via fino all’ultimo centesimo dalle mogli, e sono raffigurati sbronzi a un bar. La loro sorte è simile a quella degli scapoloni: qualche altro personaggio ci parlerà di loro, macchiette tra le macchiette, ma la differenza con gli scapoloni è che questi bevono per divertirsi, non per dimenticare. Qualche altro avventore si limiterà a parlare di questi relitti umani facendo finta di invidiarli: adesso sono liberi. La verità, ancora una volta, è che nessuno vorrebbe mai trovarsi al loro posto.
Per le donne la situazione è ancora una volta diversa, e contemporaneamente la stessa. Negli ultimi anni la Settimana ha iniziato a pubblicare vignette le cui protagoniste sono donne mature che hanno scelto di restare da sole, o più spesso hanno divorziato dai mariti. Sono raffigurate nell’atto di parlare con delle confidenti, ma ogni loro discorso è volto comunque verso l’aspetto sentimentale della loro vita. Gli ex-mariti ritornano per le cause di divorzio; si ritrovano a conversare del tipo con cui devono vedersi (ma che ancora una volta non suscita in loro alcuna emozione). L’essere libere dal vincolo matrimoniale non le rende più felici, o libere dalla presenza maschile.

stereotipi3 001.jpgE gli outsider? Vi sono senza dubbio figure marginali nella società enigmistica. Sono i ladri
e gli accattoni, ai quali si rivolge il 90% della produzione mondiale di coppole, impermeabili e maglioni a collo alto. Sono raffigurati ai margini della società, dei guitti che permettono di ridere delle contraddizioni di un mondo di cui non fanno più parte. Ancora una volta: vivono nello stesso limbo di chiunque altro. Sono liberi da costrizioni sociali, ma la legge li perseguita, e altri tipi di stigma ricadono sul loro capo. Talvolta qualcuno prova a suicidar
si, ma è inutile dire quanto anche la scelta più estrema si riveli inutile. Non ce la si fa a portare a termine neppure questa risoluzione. Al giovane Holden Caulfield dava fastidio il pensiero di suicidarsi e lasciare il proprio corpo in balìa degli sguardi altrui; forse l’uomo enigmistico è infastidito al pensiero di suicidarsi e ritrovarsi in una vignetta ambientata in paradiso.

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I giovani che si vestivano così oggi probabilmente vanno per la settantina

A livello estetico, si potrebbe aprire una parentesi circa il fatto che le vignette della Settimana appaiono fossilizzate in un periodo di transito tra boom economico e crisi petrolifera degli anni ’70, come un eterno film di Tognazzi, Sordi, Totò o Don Camillo. I personaggi sono vestiti come all’epoca, e ogni foto di un album di famiglia del periodo potrebbe essere il cosplay di una delle vignette. I richiami a Fantozzi, non a caso altro topic italiano ambientato e scritto nello stesso periodo, sono evidenti: la stessa inconcludenza stagna da ogni superficie; lo stesso senso di alienazione accompagna personaggi e lettore.
Concludendo, in questo periodo di transizione nella meme timeline in cui internet, realtà e produzioni da milioni di dollari si fondono, pensate alla Settimana Enigmistica la prossima volta che guarderete Bojack Horseman, Black Mirror, Westworld o il remake di un film di fantascienza degli anni ’80; ricordatevi che noi la nostra distopia agghiacciante e depressiva la leggiamo a cadenza settimanale da svariati decenni. Ricordatevi della Settimana Enigmistica, perché lei si ricorderà di voi, prenderà tutte le vostre angosce, paure e speranze, e le trasformerà in vignette.

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