Seven Sisters – un film di cui non c’era bisogno, che conduce a un articolo di cui non c’era bisogno

ATTENZIONE BAMBINI, NON VI PREOCUPATE PERCHé L’ARTICOLO è SPOILER FREE SE VORRETE VEDERVI IL FILM E NOI SIAMO DEI POVERI IMBECILLI CHE NON HANNO ANCORA IMPARATO A FARE LE LETTERE ACCENTATE MAIUSCOLE

Seven Sisters è un film inglese del 2017, disponibile già a partire da quest’estate per la visione su Netflix. Il film si inserisce all’interno di un filone che ultimamente va parecchio di moda, ovvero quello del futuro distopico in cui succede qualcosa di bruttissimo e l’umanità è costretta ad applicare delle leggi, o sottostare a dei modelli economici completamente privi di senso. Il fatto che lo spettatore trovi lo scenario che il film presenta tanto assurdo dovrebbe in realtà essere un occhiolino nei suoi confronti:

“ah sì trovi tutto ciò privo di senso ma non il fatto che cioè I SOCIAL NETWORK RACCOLGONO I TUOI DATI ci stanno programmando zio e non ce ne stiamo nemmeno accorgendo quindi ok ridi pure di questo film ma quando avrai finito di ridere e il tuo frivolo momento di effimera gioia avrà termine comincia pure a chiederti ‘dove finisce il confine tra lo schermo e la mia vita dove finisce il palco e dove inizio io non sono forse l’attore di una commedia brutta scritta da qualcun altro?’ e quando non saprai risponderti sappi solo che pagare otto euro per vedere sto film ti sarà servito ad aprire gli occhi”

e invece no. Pagare otto euro per vedere questo film serve solo a farti riflettere su quanto eri annoiato prima di entrare al cinema, perché hai appena visto un film che qualche stronzo può vedere gratis su Netflix da mesi, e la cui trama è la seguente:

Il pianeta è sovrappopolato -> gli scienziati creano degli OGM ipernutrienti per avere meno superficie coltivata in cambio dello stesso apporto calorico -> gli OGM aumentano la fertilità umana -> l’umanità inizia ad essere partorita in cucciolate multigemellari -> “L’Europa” applica una politica del figlio unico, surgelando secondogeniti e i gemelli nati per secondi, in vista di un futuro migliore in cui poterli scongelare e mantenere.
Le protagoniste sono sette sorelle gemelle (tutte interpretate da Noomi Rapace), la cui madre è (comprensibilmente) morta di parto. Il padre di lei, loro nonno (Willem Dafoe), decide che non vuole surgelarne sei, e le nasconde in casa. Sono registrate agli enti governativi col nome di Karen Terrance, riprendendo il cognome della loro defunta madre, ma ciascuna di loro in realtà ha il nome di un giorno della settimana, l’unico in cui sono autorizzate a uscire di casa. Le sette gemelle vengono quindi educate a uscire di casa solo una alla volta, fingendo sempre di essere Karen: alla fine della giornata si terranno delle riunioni nel corso delle quali chi è uscita dovrà raccontare alle altre tutto quello che le è successo, dalle persone con cui ha parlato, a quanto è accaduto in ufficio.
Un brutto giorno, Lunedì scompare al termine di un’importante giornata lavorativa. Cosa le è successo? Spetterà alle restanti sei scoprirlo (e non a caso il titolo del film così come distribuito nel mercato anglosassone è “What Happened to Monday”).

Tralasceremo gli evidenti buchi di trama che inevitabilmente si spalancano nella sceneggiatura di un film tanto contorto, perché non siamo qui per parlare di questo, ma di eventuali universi paralleli nei quali gli sceneggiatori hanno deciso di ridurre o aumentare il numero delle sorelle. Se la prima cosa cui ha pensato nonno-Dafoe vedendole nei lettini della nursery è stato chiamarle coi nomi dei giorni della settimana, come le avrebbe chiamate in questi universi alternativi? Siamo qui per risolvere a questa ennesima domanda in quello che è forse l’articolo più inutile che abbiamo scritto.

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le sette sorelle originali. Da sinistra a destra: Lunedì, Martedì, Mercoledì, Giovedì, Venerdì, Sabato e Domenica

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L’agghiacciante spaccato sociale della Settimana Enigmistica

Poche cose sono una certezza nella nostra vita, e la Settimana Enigmistica è una di quelle. A cadenza settimanale, con i suoi cruciverba e le sue barzellette stantie, solo Topolino può dire di essersi creato una base d’utenza più affezionata in edicola, e di avere avuto una funzione pedagogica più importante. Però c’è una differenza sostanziale tra Topolino e la Settimana, ed è il fatto che il primo ci consegna solo apparentemente un prodotto sempre diverso ma uguale a sé stesso: Topolino mantiene una formula di base che si rinnova di continuo. Anche a me dieci anni fa faceva orrore leggere una storia dove i nipoti di Paperino si aprivano un blog e skypavano con Sasuke l’amico del Giappone, ma la verità è che potevo anche andarmene a fare in culo: Topolino riesce a sopravvivere di decennio in decennio rinnovandosi di continuo, ma riuscendo a non alienarsi.
Ma non siamo qui per parlare di Topolino, non oggi. Oggi siamo qui per parlare di Settimana Enigmistica. Non voglio parlare dei rompicapi contenuti, o del formato di 46 pagine, o dei Quesiti della Susi, no. Quelle sono certezze che se venissero a mancare mi scuoterebbero nelle fondamenta. Voglio parlare delle barzellette stantie.
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Domande scomode a un millennial che si è sopravvissuto, da parte dei suoi nipotini

Oh, ragazzi, che secolo il nostro in cui essere vivi. Se sopravviviamo a Trump, all’Isis, alla Zika, ai tumori, ne avremo di cose da raccontare attorno al fuoco, quando gli agi della nostra antica civiltà saranno ormai un lontano ricordo; il regalo più prezioso che potremo fare ai nostri nipoti sarà un’antica monetina di zinco raffigurante la sgretolata testimonianza di una civiltà antica e passata: la Mole Antonelliana. Quell’antico reperto di centesimo, i nostri nipoti potranno farlo rotolare tra le crepe di un asfalto che credevamo immortale, eterna testimonianza della fine di un ideale.
Ma basta parlare di cose allegre, in un irreale clima da positivismo tecnologico. Cosa ci chiederanno i nostri nipotini attorno a quel fuoco che spereremo non si spenga, unica difesa dai carlini mutanti che si celano nelle tenebre, pronti a lambirci le carni dopo averci lubrificati con la loro saliva, certi che il loro asmatico incedere non susciterà più risa ma grida di terrore?

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Dal 2061 il carlino domestico è noto come piranha di terra

Beh, i nostri nipoti – come tutti i nipoti – vorranno sapere dei bei tempi che furono: i tempi prebellici delle bibite gassate in lattina e delle maratone di seghe su Pornhub (o su Youporn, se i vostri standard erano così bassi); degli apparecchi telefonici e della gente che moriva persino per cause naturali. Solo allora, ci rivolgeranno domande che, al giorno d’oggi certamente ci lascerebbero perplessi, ma in futuro saranno espressione di curiosità. Esattamente come facciamo noi, quando chiediamo ai nostri anziani parenti com’era la vita prima della TV. Continua a leggere

VITA E OPERE DI LEON BATTISTA CELL – parte seconda

I PRIMI ANNI AL POLITECNICO DI AZZURROPOLI

saga_cyborg_by_nostalè facile sorridere, osservando  questo antico documento e riconoscendovi figure oramai note, come i già citati Yamco da Vinci e Frà Crilin, che frequentarono il politecnico accarezzando l’idea di diventare architetti prima di dedicarsi, rispettivamente, alla pittura e alla sodomia. Dietro i due, al centro della foto, compare un Leon Battista irriconoscibile nella sua acerbità adolescenziale; all’estrema destra scorgiamo Cold, allora direttore del politecnico, in uniforme di gala assieme al figlio disabile.

Vegetaadulto (47)

Un esausto Vegentagelo Bonebotte esulta con tutta l’esuberanza propria degli adolescenti la vittoria del trofeo Stella Rossa

Gli studi al politecnico iniziano in maniera regolare e senza intoppi per il giovane Leon Battista. Senza onore e senza infamia, con grande disappunto del personale dell’istituto, che si aspettava di vedere il giovane autore della cattedrale di feci divenire un prodigio in poco tempo. Per quanto il giovane lupano non abbia problemi a seguire il programma di studi, non raggiunge l’eccellenza in nessun campo.
La delusione dei maestri avrebbe tuttavia ceduto il campo alla sorpresa in poco tempo: laddove Leon Battista non eccelle, è Vegetangelo Bonebotte a farlo. Sin dai primi mesi in forte competizione con il lupano, Vegetangelo si rivelerà una promessa dell’architettura giovanile, vincendo, primo a ottenerlo così giovane, il prestigioso trofeo Stella Rossa, riservato ai più talentuosi studenti del politecnico. Continua a leggere