Animali Fantastici, i crimini di Grindelwald – verso una normalizzazione della saga di Harry Potter

SPOILER ALERT: questa non è una recensione. Non so neanche io cos’è. Al limite definiamola un commento, un’analisi o una riflessione sugli ultimi sviluppi del Wizarding World. Chiamiamola come vogliamo, ma inevitabilmente saranno presenti spoiler – maggiori e minori – sugli ultimi film della saga. Avviserò quando si toccherà il punto di non ritorno oltre il quale sarà dannoso continuare a leggere, quindi leggete pure le prime righe ma state all’erta.

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sto per lamentarmi, ma non per i motivi che credete

 

Sono fresco di visione del secondo capitolo della nuova serie di Harry Potter Animali Fantastici – i crimini di Grindelwald, che sta approfondendo l’ambientazione della serie principale in un prequel ambientato nel 1927. Ok, il delirio. Ok, sì, lo so cosa volete dire se avete già visto il film e anche voi siete dei fan della prima ora di quello che ora è noto come Wizarding World. Sì, ok, QUEL colpo di scena, siamo d’accordo, ma c’è anche tanta altra roba che rischia di passare in sordina proprio perché offuscata da QUELLA rivelazione, e invece sarebbe bene tenere presente cercando di capire la direzione che il Wizarding World sta prendendo.
Sia ben chiaro, lo scopo di questo articolo NON è quello di fare previsioni sugli sviluppi della trama dei prossimi tre capitoli di Animali Fantastici, ma di cercare di capire la direzione in cui la narrazione di J.K. Rowling – ora sceneggiatrice a tempo pieno dei film – sta muovendo.

In primo luogo, a colpirmi durante la visione del film è stato il modo in cui la caratterizzazione di certi personaggi sia avvenuta non con l’aggiunta di dettagli originali alla storia che già conoscevamo, ma piuttosto attraverso una normalizzazione delle caratteristiche individuali già presenti al suo interno e già note agli spettatori/lettori. Cosa voglio dire con questo? Eh un attimo cazzo, adesso ci arrivo.
Parlando di normalizzazione di caratteristiche individuali intendo il modo in cui certi elementi che definiscono un personaggio vengono prelevati e attribuiti a terzi, sicché ciò che in precedenza era una sua esclusiva ora lo accomuna a una o più altre persone. Si verifica, in parole povere, una transizione dall’individualità verso la collettività. La transizione può essere giustificata sulla base delle motivazioni più disparate: possiamo scoprire che quella che credevamo essere la caratteristica di un personaggio è propria a tutta la sua famiglia; che si acquisisce dopo aver supeato una qualche iniziazione; dipende dal luogo di nascita; è propria a un gruppo di amici… le motivazioni, a seconda delle esigenze della narrazione possono essere delle più disparate.
Si tratta di un espediente, se così lo vogliamo chiamare, che abbiamo già visto ripetuto innumerevoli volte in innumerevoli prodotti della cultura pop. Un esempio su tutti? Lo sviluppo delle vicende tra Dragon Ball e Dragon Ball Z.

Il passaggio a Dragon Ball Z si verifica proprio normalizzando quelle caratteristiche che hanno retto la storia fino ad allora, e che sono quasi interamente peculiarità di Goku. Il fatto che il protagonista possegga la coda, diventi più forte ogni volta che combatte, che abbia un appetito sconfinato, si trasformi in scimmione con la luna piena… non sono fattori che dipendono più dalla sua personalità, ma vengono inscritti nelle caratteristiche genetiche proprie ad ogni saiyan. Allo stesso modo, anche Piccolo e le sfere del drago non risulteranno unici, ma entrambi di origine namecciana. Altri esempi simili si ripetono in Dragon Ball al rinnovarsi di ogni arco narrativo, e possono essere rintracciati in moltissimi altri manga (Naruto ricalca in maniera ugualmente marcata questo approccio, ma anche JoJo, Bleach, Death Note… solo per citarne alcuni tra i principali). Neanche l’intrattenimento occidentale ne è esente. Esempi simili emergono anche nel multiverso Marvel (basti pensare al film di Spiderman in uscita a dicembre 2018), negli ultimi film di Star Warsin Steven Universe, nella lore di giochi come Magic the Gathering… e l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Ricorrere alla normalizzazione delle caratteristiche di un personaggio non è necessariamente un male. L’esempio di Dragon Ball (e pressoché ciascuno degli altri citati) dimostra che spesso costituisce una scelta felice, replicando quelle caratteristiche che hanno già determinato il successo di un personaggio a seconda delle esigenze di narrazione. Da un punto di vista meramente economico, garantisce di poter allungare il brodo a piacimento trovando soluzioni alternative per replicare gli stessi elementi che hanno già garantito il successo di un prodotto.
Questo può garantire alcuni sviluppi di trama inaspettati (come quando in Death Note compaiono altri shinigami e quaderni della morte) o permettere di raccontare con maggiore complessità una vicenda (l’aumento del numero di gemme e della scala narrativa in Steven Universe), ma conserva anche dei rischi. Nella peggiore delle ipotesi, la narrazione potrebbe risultare appiattita da un’inflazione di caratteristiche narrative che perdono così la loro originalità. Dragon Ball si lancia non a caso in vere riflessioni meta-narrative per bocca dei suoi personaggi: Vegeta afferma che c’è stata una “svendita di super saiyan” nella saga di Majin Bu; Goku alla fine della saga di Cell mette in luce un cortocircuito narrativo della serie, affermando che per il bene della Terra è meglio che gli altri personaggi non lo resuscitino più, così da scongiurare l’arrivo di altri nemici sempre più forti.
In base all’analisi/visione/lettura delle ultime rivelazioni e degli ultimi dettagli sul Wizarding World, mi sembra evidente che la Rowling stia puntando su un approfondimento delle vicende per normalizzazione oltre che di vera e propria aggiunta di dettagli. Vediamo come.

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Attenzione: questo è il punto di non ritorno per gli spoiler su I Crimini di Grindelwald. Continuate a vostro rischio e pericolo.

Nella visione dei Crimini di Grindelwald l’elemento che mi è rimasto più impresso durante la proiezione emerge, quasi in sordina, durante il primo dialogo tra Silente e Newt. Silente afferma come, da generazioni, una fenice si rechi dagli esponenti degni di nota della sua famiglia, accompagnandoli nel corso della loro vita per poi essere affidata ad altri familiari. Questa affermazione serve a preannunciare L’ALTRO colpo di scena, legittimando di fatto le parole pronunciate da Grindelwald a Credence quando rivela la sua stretta parentela con Silente. Ai fini del nostro discorso, contribuiscono a normalizzare non poco il personaggio di Albus Silente. Una sua caratteristica emblematica, l’animale che lo accompagna e che è rappresentato nel suo patronus, viene tratto dalla sua individualità per inscriverlo nella sua araldica e addirittura nella sua genetica – tanto è vero che la fenice si lega a Credence non appena viene rivelata la sua parentela di sangue. Resta sempre il fatto che si possa trattare di una menzogna di Grindelwald, è vero, ma ciò non toglie che a normalizzare maggiormente Silente (più della comparsa su un suo ipotetico parente) è il dettaglio che emerge dalla conversazione.
Anche l’improvvisa comparsa di un altro parente di Silente contribuisce a normalizzarne la figura. L’introduzione di una seconda profezia rispetto a quella formulata dalla Cooman nei libri di Harry Potter, con la sua rosa di figure prescelte e catastrofi da scongiurare, offre un precedente (nella cronologia del Wizarding World) a uno dei punti di scena più drammatici dell’intera saga.
Ancora una volta, questi colpi di scena non sono necessariamente un male. Ma il loro peso in relazione al contesto narrativo emerge con forza operando due riflessioni:

  1. queste strategie di normalizzazione dei personaggi si pongono in contrasto con il forte individualismo che permea i precedenti libri di Harry Potter. Pietra angolare della saga principale è il libero arbitrio, il fatto che ogni personaggio sia chiamato a scegliere il proprio destino al di là di parentele di sangue e predestinazioni di sorta.
  2. la Rowling non ha inaugurato alcuna tendenza con la serie di Animali Fantastici. Utilizza questi espedienti narrativi già dai Doni della Morte, suo penultimo lavoro nell’universo di Harry Potter prima della sceneggiatura dei nuovi film. Se sta adottando sempre più frequentemente questi processi narrativi, è lecito ipotizzare che possa tornare a farlo nei tre film che concluderanno la serie.

Questa tendenza a normalizzare tratti individuali dei personaggi emerge quindi nei Doni della Morte. Con buona pace delle centinaia di migliaia di ragazzi che si sono fatti tatuare il simbolo dei Doni o un Always e adesso vogliono vedere alla gogna la nuova serie.
Ho sempre pensato che nell’ultimo libro ci fosse qualcosa che stonava con tutto il resto della saga, individuando quel qualcosa proprio nell’esistenza dei Doni della morte. “Doni contro Horcrux” viene ribadito da più di un personaggio nel libro. E tra i due elementi sono i Doni che sdoganano i processi di normalizzazione nel Wizarding World.
Fino al sesto capitolo, la saga di Harry Potter ha ribadito il peso delle scelte individuali nel definire la storia personale di un individuo. Harry sceglie di essere amico di Ron invece che di Draco; sceglie Grifondoro invece che Serpeverde; sceglie di non uccidere Peter Minus… e in ultima analisi sceglie di andare incontro alla Morte stessa. Non a caso diverse fanfiction prodotte dai fan nel corso degli anni esplorano proprio il modo in cui le vicende si sarebbero potute evolvere se Harry o altri personaggi avessero operato diversamente queste scelte capital. In particolare ne L’Ordine della Fenice ci viene introdotta la profezia che lega i destini di Harry e Voldemort. Ma Silente ribadisce come la profezia sia il punto di convergenza di singole decisioni che è in primo luogo Voldemort ad avere messo in moto finendo col coinvolgere Harry. Non sarebbe un copione che ogni personaggio è obbligato a seguire. Non a caso, Silente voleva togliere divinazione dal programma scolastico di Hogwarts. E non a caso, i centauri che fin da La Pietra Filosofale parlano per enigmi e previsioni della carta celeste non vengono rappresentati come le creature sagge che ritengono di essere.

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Silente parla a Harry del senso che la Profezia ha per il suo futuro, alla fine del V libro

I Doni della Morte invertono questa tendenza. I Doni, per quelle tre persone che non lo sapessero, sono tre artefatti magici straordinari: la Bacchetta di Sambuco, che dona una potenza ineguagliabile al portatore; la Pietra della Resurrezione, che consentirebbe di far tornare dal regno dei morti i cari estinti; il Mantello dell’Invisibilità, che reca impresso il più straordinario incantesimo di disillusione. I doni sarebbero stati realizzati da tre fratelli (rispettivamente il maggiore, il mediano e il minore) e il possesso di tutti e tre avrebbe reso il portatore capace di prevalere sulla Morte stessa. Nell’universo di Harry Potter, i tre fratelli sono protagonisti di una nota fiaba raccontata nelle famiglie di maghi. Ciascun dono e ciascun fratello rappresenta quindi un insegnamento morale: il maggiore si vanta della sua bacchetta e uccide con essa il suo acerrimo nemico, ma la stessa notte viene assassinato e la bacchetta gli viene rubata, passando da questo momento in poi di mano in mano, di omicidio in omicidio. La pietra della resurrezione consente di far tornare solo dei pallidi e malinconici ricordi dall’aldilà, più solidi di un fantasma ma più eterei di un corpo fisico. Il secondo fratello, constatando che la sua amata non può tornare davvero dall’oltretomba, si suicida. Il terzo fratello utilizza invece il mantello per sfuggire alla Morte e condurre una vita lunga e felice. Giunta la sua ora, decide di andarle incontro “come a una vecchia amica”, lasciando il suo mantello agli eredi.

Nel corso del settimo libro, scopriamo come i tre fratelli appartengano alla famiglia Peverell. Non solo: dalla loro genealogia discenderebbero gli stessi Voldemort (dal fratello maggiore) e Harry (dal fratello minore). Il primo passa tutto il settimo libro a cercare la Bacchetta di Sambuco, ricongiungendosi alla fine con essa. Il secondo ha sempre posseduto quel mantello che da generazioni la sua famiglia si tramanda. Oltre a questo, scopriamo che la relazione tra Silente e Grindelwald – e il loro successivo scontro – si articola proprio attorno al possesso dei Doni. Ci viene inoltre rivelato che la Bacchetta di Sambuco, vista la sua storia travagliata, si lega al mago che sconfigge il suo ultimo proprietario, riservandogli la sua fiducia. Alla fine del settimo libro, Harry otterrà il possesso di ciascuno dei Doni, diventando quello che le dicerie attorno agli artefatti reputano “signore della Morte”.
A livello narrativo, cosa significa questo?

I Doni di fatto traslano lo scontro tra Harry e Voldemort dal piano individuale in cui ci sono sempre stati presentati, proiettandolo in un conflitto generazionale tra due esponenti della stessa famiglia, riecheggiando lo scontro tra Silente e Grindelwald, esplicitando mai come era accaduto prima nella saga la dicotomia bene-male tra i due personaggi. I collegamenti che iniziano a essere intessuti tra i diversi personaggi sono anche topografici: Godric’s Hollow, luogo di residenza dei Potter e dei Silente, è anche quello dove abitavano mille anni prima i Peverell e dove Voldemort viene sconfitto la prima volta. Le identità di Harry e Voldemort si sovrappongono: entrambi discendenti dei Peverell, mezzosangue e orfani, hanno potuto chiamare veramente “casa” la sola Hogwarts. Dentro Voldemort scorre il sangue di Harry; dentro Harry si trova un frammento dell’anima di Voldemort. Se le intenzioni della Rowling erano quelle di farci capire come nonostante tutto la profezia sia solo il punto di convergenza delle loro azioni individuali, ciò che traspare dal libro conclusivo della saga è invece come ogni cosa sia predestinata, come lo scontro sia davvero scritto nelle stelle come sostengono i centauri. A questo si aggiunga che i Doni sono un elemento del tutto superfluo alla narrazione.
Se Harry non si fosse messo a cercare i doni ma si fosse concentrato sulla distruzione degli Horcrux, sarebbe arrivato comunque a prevalere sul suo nemico. Pensateci: le circostanze che portano Harry a guadagnare la fiducia della Bacchetta di Sambuco sono del tutto indipendenti da quelle che portano Voldemort ad acquisirla fisicamente. Se Harry non avesse saputo nulla dei doni si sarebbe comunque trovato nella condizione di sconfiggere a duello Malfoy; si sarebbe comunque offerto a Voldemort nella foresta proibita; avrebbe comunque duellato con lui sopraffacendolo. I Doni sono la risposta a domande che nessuno si è mai posto, a differenza degli horcrux che, introdotti nel sesto libro, rimettono a posto molti tasselli dei volumi precedenti.

I Doni della Morte hanno un altro grande precedente a livello di inutilità narrativa

Questa tendenza viene replicata ne I Crimini di Grindelwald, in cui compare non a caso un’altra profezia, stavolta addirittura risalente a secoli prima, e in cui sembra stia venendo costruita una genealogia alternativa per la famiglia Silente. Abbiamo quindi nuovi prescelti, nuovi predestinati, nuove ascendenze genetiche che determinano i caratteri individuali dei nostri personaggi. E questo rischia di risultare un ottimo espediente narrativo per il botteghino, ma di alienare la precedente identità della saga di Harry Potter. Non sarebbe un problema così grosso se Animali Fantastici non fosse un prequel: già si  è visto come siano stati introdotti elementi tanto importanti che risulta sconvolgente che non abbiano fatto la loro comparsa nella saga originale. Che ne è stato di Credence se è davvero imparentato a Silente? Rita Skeeter lo ha mai saputo? Ha inserito questi dettagli nella sua spietata biografia di Silente? Cosa sarebbe successo se Harry l’avesse letta e ne avesse chiesto conto a Silente in quel dialogo post-mortem che avviene nella sua testa?

“Professore, un’ultima cosa…”
“Harry, ragazzo caro, splendido ragazzo, puoi chiedermi quello che vuoi”
“Ho letto nel libro della Skeeter di questo Credence. Ma non ho capito, è suo fratello? Perché né lei né Aberforth avete mai…”
“DI QUELLO NON PARLO”
“Ma professore”
“ABBIAMO FINITO IL TEMPO A NOSTRA DISPOSIZIONE HARRY CREDO CHE VOLDEMORT TI ASPETTI”
“Professore non capisco”
“MI RACCOMANDO NON CHIEDERE MAI QUESTE COSE AL MIO RITRATTO ANZI BRUCIALO SE SOPRAVVIVI”
“Professore…”

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“Harry, splendido ragazzo, credo proprio dovrai farti una vagonata di cazzi tuoi”

Sì, non ha molto senso, e per di più crea dei precedenti qualora la Rowling volesse introdurre altri dettagli del genere, che retroattivamente ci impedirebbero di leggere la saga originale senza tenerne conto. Pensiamo a uno spin-off sui Malandrini, magari sotto forma di serie TV. Dei dettagli che contestualizzerebbero maggiormente la vicenda sarebbero ad esempio il fatto che i Malandrini hanno ereditato la Mappa dalla precedente generazione di studenti: questa verrebbe aggiornata e tramandata ogni sette anni, di studente meritevole in studente meritevole. O ancora, che Sirius, James e peter hanno imparato a diventare animagi seguendo le istruzioni di altri studenti che già prima di loro lo facevano per combinare marachelle. Magari ci verrebbe detto che Sirius aveva uno zio che adorava e ha preso a modello, anche lui smistato a Grifondoro con conseguente astio della Famiglia Black. Sono dettagli che potrebbero avere senso a livello narrativo, ma normalizzerebbero quelle caratteristiche che rendono unici i Malandrini, o personaggi come Sirius.

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o perché no: magari Piton aveva un fratello babbano disperatamente innamorato di Petunia, che a scuola era bullizzato da Vernon Dursley e che adesso odia Dudley anche se ha gli occhi di sua madre.

Tenendo conto del rapporto conflittuale e contraddittorio che la Rowling ha non solo con la propria fanbase, ma anche col proprio prodotto (ben riassunto in questo video di Sarah Z), ciò che colpisce è il modo in cui l’autrice stia riscrivendo la propria opera.
Se prelevare certi elementi dalla narrazione può garantire di allungare efficacemente il brodo, potrebbe rivelarsi una scelta miope proprio considerando quanto delicata e vulnerabile a questi espedienti è la saga originale. Visto che la Rowling non è nuova a ripensamenti di questo tipo, arrivando addirittura a pentirsi di certi elementi inseriti nei suoi libri, resta da sperare che vada in fondo a quello che sta facendo senza lanciarsi in correzioni postume sotto forma di ulteriori colpi di scena.
Saranno i prossimi tre film – e gli immancabili altri spin-off che arriveranno – a rivelarci quanto la Rowling proseguirà in questa direzione. Personalmente spero che questo articolo si riveli una gigantesca e inutile sega mentale, ma non mi stupirò troppo se nei prossimi episodi ci verrà rivelato che il nonno di Harry e quello di Ron erano inseparabili e che tra loro non correva buon sangue con quello di Draco, che tutti i fondatori di Hogwarts hanno realizzato una stanza misteriosa all’insaputa degli altri tre, che ci sono altri misteriosi parenti di personaggi della serie di cui credevamo di sapere già tutto.

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