L’etnolinguistica è una disciplina spesso sottovalutata. Combinando elementi di linguistica ed antropologia, i testi di questa materia sembrerebbero buoni solo per mettere in pari vecchi mobili, e in effetti è ciò a cui servivano, fino ad oggi. Per l’articolo di oggi vi chiediamo di seguirci lungo l’esposizione di teorie antiche ed affascinanti, di cui vi parliamo senza un apparente motivo. Voi fidatevi, che noi facciamo il resto in questo speciale di San Valentino del Posto delle Fregole!
– In questo raro scatto del 1859, Alfred Wallace e Charles Darwin accompagnano due parameci nel loro percorso verso la pluricellularità.
Alfred Wallace (1823 – 1913) è un naturalista inglese meglio noto per essere il Ringo Starr dell’evoluzionismo: pubblicò per primo la teoria dell’evoluzione per selezione naturale, ma Darwin gli disse di averla formulata già anni prima ma non averla voluta pubblicare, lui chiese scusa e si fece molto umilmente da parte. Tra le altre cose per cui non lo ricordiamo, vi sono gli studi di linguistica che condusse. I dati che raccolse gli permisero di notare come le vocali anteriori chiuse e semichiuse (i, e) riducono lo spazio necessario alla pronuncia, mentre quelle aperte (a) e quelle posteriori (o, u) lo aumentano. In aggiunta a questo, notò come la pronuncia dei nomi degli animali e degli oggetti, nelle diverse lingue, sembra richiamare inconsciamente la forma degli stessi animali. Così animali rapidi e piccini come i pipistrelli hanno nomi, beh, come pipistrello (con gran profusione di i ed e). Se dobbiamo ad Alfred Wallace questa rivoluzionaria scoperta riguardo gli animali piccini, ci vorrà ancora un secolo perché un antropologo americano, Brent Berlin (1936 -) abbia la stessa intuizione per gli animali più grossi, i cui nomi contengono più frequentemente vocali come a, o ,u. Ed è a questo punto che entra in gioco:
l’esperimento di Kohler. Condotto nel 1929 da Wolfgang Kohler, ha richiesto a numerose persone a diverse latitudini geografiche di associare i nomi Takete e Maluma a due forme grafiche che venivano mostrate identiche di volta in volta. La prima forma era tracciata da linee spezzate, la seconda da ampie linee curve. Kohler osservò come la maggioranza dei soggetti, esponenti di lingue e culture differenti, associassero il primo termine alla figura spezzata; il secondo a quella più morbida.
– Gli originali Maluma e Takete di Kohler. Questa è l’unica immagine finora caricata nel nostro blog a sembrare una stronzata pur non essendola.
I risultati di questi intelligenti esperimenti di linguistica fanno sì che i linguisti del secolo scorso abbiano raggiunto un punto d’accordo: inconsciamente siamo portati ad associare certi nomi a certe cose, e più queste sono grosse, più O ci buttiamo; più piccole sono più I ci infiliamo. E via dicendo, insomma.
E quindi ci siamo chiesti: ma non è forse vero che i maschietti amano dare dei nomi ai propri membri? Se è così allora, la forma del membro sarà rispecchiata dal nome ad esso associato. Con orgoglio vi presentiamo i risultati di questa indagine statistica casuale, nella quale abbiamo chiesto agli amici nostri come si chiamavano i loro cazzi, e se potessero disegnarci una loro elaborazione grafica per vedere se corrispondeva all’intrinseca forma richiamata dai nomi. Continua a leggere →