IN COSA MI DOVREI LAUREARE SECONDO AGE OF EMPIRES

Tutti noi conosciamo Age of Empires, se non per esperienza diretta (il che sarebbe comunque vergognoso), quantomeno per sentito dire.
Age of Empires ha degli indubbi punti di forza, come gioco strategico: si rivela sufficientemente immediato da poter essere giocabile anche da degli absolute beginners come lo era il sottoscritto a nove anni, e una volta padroneggiato rivela un appassionante grado di sfida anche per i giocatori più esperti, come lo è il sottoscritto a ventiquattro anni.

Però, come ogni gioco strategico che riproponga un dato periodo storico, e che sia volto a una vittoria “per conquista”, troviamo delle indubbie forzature nella declinazione delle tecnologie, filosofie, culture dell’epoca secondo un’ottica militare. Ogni cosa in Age of Empires è volta alla distruzione del nemico o alla protezione dei nostri soldati, in un’ottica evoluzionista/strutturalista/funzionalista che, se farebbe rabbrividire gli odierni antropologi, bisogna ammettere che è quantomeno affascinante.
E allora, nel nome di questo fascino, scopriremo che cosa, secondo i programmatori di Age of Empires, avrei dovuto studiare all’università per non buttare via il mio tempo.

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A giudicare da cosa ci insegnano, l’ateneo medio di AoEII merita di somigliare a una distilleria di Whisky

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Confessioni di una generazione

Quello che segue è un elenco di confessioni emerse nel corso di interviste, chiacchiere, dibattiti o semplicissime conversazioni condotte con amici, parenti, conoscenti o gente a caso. In sintesi: cose dette da gente.
Perché parlo di confessioni, chiedete? Perché è dalla fine degli anni ’90 del xx secolo (o anche del xix, se considerate Babbage) che la crescita di più di una generazione si rapporta all’utilizzo di apparecchiature elettroniche, e sarebbe quindi lecito aspettarsi che errori grossolani nella fruizione delle stesse siano appannaggio delle generazioni passate. Come avremo modo di scoprire assieme, così non è. Quindi abbiamo poco da ridere di nostra mamma che non riesce a trovare i preferiti nel browser se poi anche noi non sappiamo impostare una stampa in toni di grigio.

L’etica professionale mi ha imposto di proteggere l’identità degli intervistati decontestualizzando le loro risposte e alterandone in minima parte personalità e identità, così come il setting delle interviste . Eccezion fatta per questi particolari, le risposte sono aderenti alla realtà dei fatti. Continua a leggere

UNA PREGHIERA AL SILICIO

La fede risiede lì dove sta la necessità.
Ovvero nel principale semiconduttore di tutta l’industria elettronica.

UNA PREGHIERA AL SILICIO

Mi ricordo quand’ero bambino
Infilar pile grandi come trattori
In giocattoli dai mille colori
Dai cinesi per noi fabbricati

Tu petrolio coi tuoi derivati
Mi hai deliziato per ore intere:
Per mille mattine, per mille sere
Al tuo altare mi sono inchinato.

Ma poi il mio squadrone datato
Di soldatini e di macchine a molla
Fece largo (oh, povera folla!)
A un dio in incognito apparso.

Di chip e di cavi cosparso,
Un araldo del millennio venturo
Seppe sedurre, sicuro,
Un’età di ingenue pandore.

E allora ditemi in queste ore
Se dell’eroe non merito il nome,
Io che, non so ancora come,
Mi sono immerso nel buio assoluto

reboot

Reboot

E fino ad ora son sopravvissuto
Varcando quella spaziosa corte
Che con pianti e con grida distorte
Il telefono in un secondo zittiva

In cambio della promessa lasciva
Di sogni a cinquantasei cappa,
Artefici della nuova mappa
Di una terra ancor troppo oscura.

E mentre il corpo cresce e matura
So già di non potermi rialzare
Dai bordi di un nuovo altare
Che mi fiacca con nuove trovate,

Con meraviglie appena ideate,
Con aggiornamenti da installare,
Con nuovi gadget da acquistare
Per soddisfar l’appetito vorace.

E la notte, tutto, ormai tace.
In milioni a violar la tastiera
Digitano una silenziosa preghiera
Fissando l’unica luce negli occhi

Il ticchettare dei veloci tocchi
È l’unico suono, un’eco lontana
Dei cuori della razza umana
Che in sincronia battono ancora.

Silicio, se ti piace e ti onora
Dammi istanti che siano degni
Di recare con loro i segni
Di una condivisione globale

Traimi dal regno animale,
Dai confini materiali del corpo
Proiettami senza uno sforzo
Dovunque decida di andare

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Table of commandment

Qualunque cosa io voglia guardare,
O bisogno che divenga pulsione
Possa trovare soddisfazione
Alla luce dei led, in eterno.

Poiché la solitudine è inferno
Allontana l’angoscia mortale,
Quel terrore che di notte m’assale
Restando solo coi miei pensieri

Il riposo, stanotte come ieri
Sia insomma veloce a calare
Un semplice imput da programmare
Senza fissare il soffitto per ore.

E infine, un trapasso indolore
Proprio qui, davanti allo schermo
Dove comunque e in eterno
Avrei continuato a pregare.

Sulla retina voglio fissare
Mentre il cuore sussulta e si ferma
L’immagine immobile, eterna
Della mia morte in condivisione

Sparata senza un’esitazione
Ad amici, sconosciuti, parenti
Dimenticata nel mare di eventi
Di reti e connessioni in tempesta.

E se la morte si manifesta,
Le dita si staccano dalla tastiera,
Io ripenso a una lontana era
Di pile grandi come trattori,

Di giocattoli dai mille colori
Dai cinesi per noi fabbricati;
La mente implode al peso dei dati
Ma mi ricordo quand’ero bambino.

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The price of knowledge

IL NERD CHE CE LA FA

Adolescenti, e per di più nerd. Difficile immaginare una categoria più disagiata di questa, quantomeno nell’immaginario comune. Poi oh, se mi volete tirare fuori i bambini soldato dello Zambia, vi piace vincere facile.
Ma restiamo all’interno dell’idilliaca società occidentale.
Adolescenti, e per di più nerd, si diceva. È facile constatare come il numero di piccoli nerd, analizzando un campione sociale circoscritto come può esserlo quello di un liceo, crolli non appena terminato il periodo della high school, sicché possiamo tracciare un filo che colleghi i vertici di una triade del disagio, costituita per l’appunto dal periodo adolescenziale, dalla nerditudine, e dai disagi veri e propri.

triade del disagio

La triade del disagio

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Della serie Il Pilota Depilato: BLACK SAILS vs CROSSBONES

Chi non ama i pirati, con i tesori sepolti, i fortini, il jolly roger che sventola, i denti marci, lo scorbuto e il vaiolo?

black-sails-wallpaper     crossbones-logo Nel 2014 sono uscite due serie sui pirati: Black Sails e Crossbones. Avverto già da subito che fanno cagare entrambe. Seguendo la categorizzazione della cacca della Bristol Stool Chart, una è una tipo 5 (detta anche cacca frastagliata), l’altra una tipo 7 (altrimenti nota come diarrea esplosiva o piscia dal buco sbagliato). Le trame in breve (ma questa parte è inutile, dato che le trame sono inutili):
Black Sails è ambientato circa vent’anni prima delle avventure raccontate ne ”L’Isola del Tesoro”. Gli sceneggiatori buttano in un unico pisciatoio sia personaggi creati da Stevenson, sia alcuni famosi pirati realmente esistiti, e infine personaggi completamente inventati, svuotando poi il suddetto pisciatoio nel mare delle Indie Occidentali di inizio ‘700. Black Sails ha tutto: navi e cannonate, uomini sporchi, rum, una caccia al tesoro e pure le zinne. E dopo tutto questo vorresti anche una trama decente? Non esageriamo. Ah, la produce la Starz (che sforna continuamente capolavori tipo Da Vinci’s Demons, Camelot, The White Queen, Outlander).
Crossbones racconta di un tizio che ha inventato un cronometro che sa calcolare la longitudine in mare. Barbanera (John Malkovich) lo vuole perché deve esportare la democrazia ovunque, tipo rivoluzione russa. Tom Lowe (Richard Coyle) ha il compito di proteggere la grande invenzione, ma la nave che trasportava entrambi viene attaccata dai pirati. Tom si salva ma distrugge il congegno e viene portato prigioniero da Barbanera. Da qui in poi la noia regna sovrana, tanto che gli spiegoni propinati ogni 5 minuti sono quasi interessanti.

Quindi eccovi uno scontro diretto sugli elementi comuni alle due serie, per dimostrare come, se Black Sails fa una cosa abbastanza male, Crossbones la fa peggio. Continua a leggere